Di Antonino Salsone
Nel mondo attuale, la tecnologia, più ancora che la scienza, ha assunto un ruolo predominante.
L’uomo, che per millenni è stato un “homo narrans”, negli ultimi tre decenni appena si è trasformato in “phono sapiens”.
Questo mutamento così repentino e radicale non è stato indolore e, pur con le molteplici positività e gli enormi vantaggi apportati dalla tecnologia e dagli strumenti e programmi che la attuano, per l’uomo ha significato un progressivo ma inesorabile isolamento, la forte attenuazione dei rapporti sociali, l’incupimento e altro ancora.
Cosa si puó fare, dunque, affinchè l’uomo non venga tecnologizzato e, invece, la tecnologia sia umanizzata?
Secondo alcuni si seve passare dall’algocrazia all’algoretica e, perció, fare in modo che gli algoritmi. che sono ormai i regolatori della nostra vita, siano influenzati dal valore imprenscindibile dell’etica.
Se non si riuscirà ad umanizzare la tecnologia, probabilmente si concretizzerà l’idea del filosofo tedesco Martin Heidegger, il quale affermava che il dramma della modernità non è tanto l’assenza di Dio, quanto il fatto che gli uomini non soffrono più di tale mancanza.
Io penso che “umanizzare la tecnologia” (la quale, attenzione, è un bene utilissimo e una grande risorsa) significhi avere la consapevolezza che dispositivi e i software che li fanno funzionare non hanno corpo e non hanno carne.
Essi sono solo sistemi di ausilio, non di sostituzione dell’uomo.
“Umanizzare la tecnologia” vuol perció dire realizzare quanto affermava duemila anni fa Quinto Settimio Tertullian: “caro cardo salutis” (la carne è il cardine della salvezza) .
L’umanizzazione della tecnologia è dunque la strada maestra del presente per progettare il futuro e fare in modo che la “tecnologia umanizzata” sia uno degli strumenti da usare per realizzare il bene e il progresso dell’umanità.
- SprayNews - Monica Macchioni